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ammettevano la forza esterna e violenta, le seconde rimanevano al tutto libere. Fra queste due forme di morali operazioni, il divino Legislatore che riformò la terra, ne introdusse la terza, di cui è esempio appunto il diritto dato da lui a’ sacri ministri di vivere dell’altare, al quale oppose per tutta difesa la minaccia del celeste castigo; e tale natura hanno del pari le ecclesiastiche ordinazioni sancite da sole pene canoniche e spirituali: perocchè la massima pena che la Chiesa si abbia in proprio si è quella della separazione del disubbidiente e contumace dal corpo de’ fedeli; e la privazione quindi de’ beni della loro comunione. La qual guisa di pene, con cui la Chiesa mantiene i suoi ordini e i suoi diritti, rimaneasi del tutto incognita e straniera al temporale reggimento, come Cristo avea già insegnato in quelle parole; «I re delle genti il signoreggiano, e quelli che hanno su loro il potere si dicon elementi: ma voi non farete così (Matt. xx, 25, 26. — Luc. xxii, 25, 26).» Che dunque accadde allorchè i beni ecclesiastici non furono più liberi in man della Chiesa, ma divennero servi aggiogati dal poter temporale? Quello che ne dovea avvenire: il temporale potere vi aggiunse la forza, chè altra cosa egli non aveva nè conosceva, e talora egli credette in buona fede di fare al Clero con ciò un singolarissimo beneficio, et qui potestatem habent super eos, benefici vocantur.
137. Certamente era giusto nè contrario allo spirito del Vangelo e della Chiesa, che le proprietà già acquistate da questa in virtù di spontanee donazioni, fossero dalla forza pubblica, siccome tutte l’altre, tutelate; perocchè elle acquistano, dopo la donazione, natura di diritti di stretta giustizia. Ma l’impiego della forza ripugna all’antica massima, trattandosi di costringere i fedeli a donazioni e ad offerte, come è il caso delle decime, delle primizie, e di somiglianti oblazioni; nè la primitiva spontanea natura di questa poteva perdersi per la consuetudine invalsa, nulla più essendo che uno de’ tanti sofismi giuridici quello che pretende cangiare un donatore spontaneo in uno stretto debitore, unicamente perchè già da lungo tempo egli ha continuato a donare.
138. In quel primo grado di servitù, a cui furon sommesse le oblazioni spontanee, diminuiva la carità fra i fedeli offeritori ed il Clero, che non rimaneano più avvinti colle dolci relazioni di beneficante e beneficato, o meglio con quelle di scambievoli beneficanti, dando gli uni le cose temporali e l’altro le spirituali, secondo il concetto apostolico. Si nos vobis spiritualia seminavimus, magnum est si nos carnalia vestra metamus? (1 Cor., ix, 11.); alle quali primitive e naturali relazioni veniano surrogate quelle fredde ed odiose di debitore e di creditore, le quali d’una parte toglievano il merito e la dolcezza del dare, dall’altra la gratitudine del ricevere; e il clero sicuro del viver suo, non poteva più esperimentare l’aumento e la diminuzione delle offerte in ragione di sue fatiche.
139. Ma un altro grado di servitù più funesta fu quella del confondersi le proprietà libere e liberamente donate alla chiesa colle feudali, che assorbirono tutte le altre, e fece nascere l’opinione che tutte le cose della chiesa appartenessero al Signore infeudante, a cui le stesse persone di chiesa servivano. La pruova di questa servitù de’ beni ecclesiastici è significata fino nel linguaggio di quel tempo, perocchè le chiese si chiamarono mani morte, che significava una classe di servi1, nè mai perì più l’ingiurioso vocabolo. Laonde il mal seme, dopo aver fruttati copertamente i più velenosi frutti del clero, produsse all’ultimo le spogliazioni moderne della chiesa, e il più solenne decreto 2-4 novembre del 1789, col quale l’Assemblea nazionale di Francia dichiarò beni
- ↑ «Il colonato non poteva chiamarsi pei coloni una proprietà; poichè i coloni, o servi della gleba chiamavansi appunto mani morte, perchè nulla potevano avere in proprio.» Cibrario, Dell’Economia del medio Evo. L. iii, C.iii.
Rosmini - Cinque Piaghe.15