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le dissensioni si sarebbero aggiustate appunto colla mediazione del Clero libero, che per la sua libertà era ascoltato, era atto a tale mediazione. Ma chi tolse all’incontro ad Enrico questo vantaggio? Chi lo condusse a sì mal termine di morire detronizzato, ramingo, povero? Non altri che il suo Clero schiavo, a cui avea egli venduto i vescovati. Questo Clero fu che il consigliò ciecamente, non a mantenere una giusta autorità, ma ad appropriarsi ostinatamente una autorità senza freno di giustizia, un vano diritto di prepotenza che il mettesse in istato di fare così il male come il bene senza ostacolo; anzi un’autorità di far il male, giacchè quella di fare il bene da niuno gli era contesa. Questo Clero perdette dunque Enrico; un Clero fedele, non di fedeltà politica; ma di fedeltà evangelica, l’avrebbe salvato1.

118. Ora questa voglia di cercare nell’Episcopato un sostegno per fas et nefas, un mezzo, non che renda ai popoli riverita un’autorità giusta, ma che li faccia schiavi di un’autorità qualunque; questo principio, di cui è tanto difficile che si spogli il governo laicale; è quello appunto che il muove anche a nominare i Vescovi fatali alla Chiesa, i quali abbiano per avventura (ed oggidì non se ne può a meno), una cotale ecclesiastica apparenza, ma infatti non sieno liberi ministri di Dio, ma servi del principe vestiti da Vescovi. Perocchè la fedeltà che si cerca in essi uscendo da motivi umani, conviene aver persone le quali facciano molto conto de’ beni umani, e conviene evitare diligentemente la nomina di quegli uomini eccelsi sopra tutte le cose terrene i quali nelle ricchezze e nelle dignità che ricevono dalla mano del principe non ravvisano che una miseria loro sopravvenuta, ed un grave peso, a cui sommettono le spalle senza giubilo, ma con rassegnazione e per amore di Iddio2. Questi uomini evangelici, cui la verità feci liberi, sono anzi temuti dalla mondana politica, siccome scogli e impedimenti alle sue vane intraprese; e però la Chiesa ne vede sì rari splendere (il contrario de’ primi tempi) sulle sedie episcopali, e manca il mondo d’ingenui annunziatori dell’Evangelio, manca la giustizia eterna di maestri e di Sacerdoti; e mancano i principi di veramente fedeli amici e consiglieri.

E questa stessa ragione che il Vescovo dee poter essere uomo tale da ren-

  1. Chi vuol vedere nel fatto la certezza di questa conghiettura, basta che richiami alla mente ciò che avvenne relativamente ad un altro Enrico iv, cioè il grande re di Francia. Il Papa non dimandava se non che i Francesi avessero un re cattolico, e niente avea di personale ostilità contro Enrico, niente di politiche pretensioni nell’affare. Non istavano entro questi termini i confederati cattolici in Francia. Nella lettera che scrissero al Legato del Papa, Gaetano, incitavano il Papa a nominare egli un re alla Francia, e il giudizio della Sorbona era per questo partito; Sorbona, dice la lettera, hujus sententiae est, urgetque Pontificem ut ipse regem Galliae pronuntiet, declaretque; alioquin Gallia conclamata est, expersque remedii. Et esse hanc potestatem Pontifici regem declarandi, rationibus plane evidentibus, multisque exemplis ostendunt. Immo adjungunt, ubi Pontifex regem pronuntiaverit, isque in Gallia denuntiatus fuerit, continuo a Clero et ab omnibus catholicis receptum iri (sub. an. 1592, die 16 april.) Che fece il Papa? Nè avvenne a questo estremo, nè si buttò all’altro con Enrico: tenne il dignitoso personaggio di mediatore: e la mediazione ebbe nel fatto il suo effetto a favore di Enrico; perocchè questi cedette all’eresia, e fu riconciliato e riconosciuto re dal Papa e da tutti i Francesi. Qual dubbio che se Enrico si fosse ostinato nell’eresia, in fine sarebbe andato a perire con tutto il suo valore? Non nocque adunque il Papa ad Enrico, come gli sarebbe nociuto un Clero venduto che l’avesse concitato contro il Papa e la Chiesa; ma anzi la resistenza del Papa gli giovò sommamente a farlo entrare nella Chiesa ad un tempo, e nell’amore dei Francesi. Ecco come la Chiesa libera ritiene o rimette i principi nelle vie della loro vera politica, e fa ben anche la loro temporale grandezza!
  2. Acconciamente il celebre Card. Goffredo, Abate Vindocinense, nel suo opuscolo sulle investiture diretto a Calisto ii, scriveva: Et jure autem humano tantum illis debemus (ai principi temporali) quantum possessionem diligimus, quibus ab ipsis vel a parentibus suis Ecclesia ditata et investita dignoscitur.