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della gratitudine alle sue lunghe fatiche, e la stessa dolce consuetudine con lui, gli legano tutti gli animi, e glieli inchinano a riverenza. Or anche questa massima sì luminosa, sì evangelica, rimane soppiantata colla regia nominazione. Egli è ben naturale; il re che nomina, non può, o non vuole badare, o finalmente non bada a queste cose; e manda alla Diocesi le persone a lui ben volute, donde che sia, e non solo da fuor di diocesi, ma da fuor di provincia, ma fino d’altro clima e nazione. Ora uno straniero, fors’anco con altro linguaggio in bocca, fors’anco d’un paese abborrito per le rivalità nazionali, fors’anco non conosciuto per altra fama da quella che il dice favorito del principe, uom destro, e buon cortigiano, sarà egli questi il confidente, l’amico di tutti? sarà quel padre riverito da cui sono stati generati molti, e a cui molti si dieno ad essere rigenerati? Qui non si tratta di sapere se un popolo di santi potesse santificarsi anche sotto un tal vescovo: piuttosto è a dire, che se si suppone un popol di santi, il vescovo è inutile. Ma se si suppone il popol cristiano tale quale egli è, e lo si vuol ridurre a praticare il vangelo, altri pastori e non cotali, ci bisognano. Se poi si voglia sbattezzare il mondo, si seguiti a far così, e vedremo quanto a lungo i principi possano governare il mondo dopo averlo sbattezzato.

114. Si dirà: un buon principe potrà da sè mantenere in qualche modo queste massime della sacra antichità, alle quali la chiesa non può in alcun tempo rinunziare. Ma in tal caso perchè la chiesa non ha fatto il patto che i principi nascano sempre buoni?

Di poi, ove anco il principe sia buono, si pretenderà, da un laico sparso in tante cure e in tante delizie, quante gliene apportano il temporale governo e l’uso della corte, ch’egli sia un profondo teologo? Che conosca le massime più gravi e più profonde della ecclesiastica disciplina? che ne senta la suprema importanza? e che abbia uno zelo apostolico da preferirle ad ogni altro interesse? e da tenerle ferme contro la seduzione, l’adulazione, il raggiro, le passioni cupe, infaticabili, turbinose di tutti quelli che lo circondano? dal cui consiglio, e dal cui ministero dipende? E chi presumerà mai tanto di un povero mortale?

Diasi anche questo nuovo portento; egli non basta. Oltre saper le massime inviolabili della ecclesiastica disciplina, e volerle mantenere, egli dovrebbe poterlo. Ma a poterlo, converrebbe ch’egli conoscesse ogni chiesa particolare altrettanto come ogni chiesa particolare conosce sè stessa; dovrebbe trasformarsi egli in ogni chiesa dopo essersi trasformato nella chiesa universale. E chi non sente l’impossibilità di ciò fare? Ma finalmente, senza andare più in lungo, basterà a illuminar la cosa un principio certissimo, confirmato dalla sperienza universale, e risultante dalla natura umana, e da quella delle cose, che è il seguente; «Ogni corpo o persona morale, in generale parlando, è la sola atta a giudicare quello che meglio gli convenga,» perchè è illuminata dal proprio interesse, del quale non si da scorta più sicura e più vigilante. Qualunque eccezione si voglia dare a questa legge, che presiede a tutte le corporazioni, a tutte le società, ella si troverà sempre vera in generale, e più vera che mai parlando della chiesa, l’interesse della quale è spirituale e morale, e però diritto e semplice, coerente a sè stesso, e pieno di luce. Or da ciò risulta, che se le chiese ricevono da altri i loro Pastori, questi non potranno giammai essere loro dati con quella quasi infallibilità di giudizio, colla quale esse le chiese li potrebbero dare a sè stesse, e se li sono dati per tanti secoli; e ciò è sufficiente a conoscere, che il loro diritto in tal modo riman pessundato: imperciocchè come si può negar al popolo di Dio il dritto di aver il miglior pastore possibile?

La Chiesa che elegge il proprio pastore ha un interesse solo, quello delle

Rosmini - Cinque Piaghe.13