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11. Le dottrine che colla predicazione si diffondevano, erano altrettanto teorie; ma la forza pratica, la forza di operare, nasceva dal culto, onde l’uomo attinger doveva la grazia dell’Onnipossente. Si fu solito di confondere queste due parole morale e pratica, e di dar loro un significato comune, dicendosi egualmente filosofia morale, e filosofia pratica. Così avvenne, che quando il filosofo insegnò i precetti della morale, si persuase con questo solo di essere uomo virtuoso; e che i suoi discepoli col pur udire a insegnare la definizione del vizio e della virtù, si persuasero pure di possedere già in sè la virtù, e di andarsene mondi dai vizii. Infelice umano orgoglio! diabolica superbia della mente, che crede di aver ogni bene compito in sè sola, e che ignora come il conoscere non è altro che un principio tenue ed elementare del bene, e come il bene vero e compito appartenga all’azione reale, alla volontà effettiva, e non al semplice intendimento! E pure quest’arroganza dell’intelligenza è la perpetua seduzione dell’umanità, che si continua tuttodì, dopo aver cominciato quel giorno, che fu detto all’uomo: «I vostri occhi si apriranno, e voi sarete simili a Dio (Gen. iii, 5)».

12. Intanto, quando l’autore dell’uomo tolse a riformarlo, non si appagò di annunziare all’intelligenza i precetti morali; ma diede ancora alla sua volontà la forza pratica di eseguirli. E se questa forza la congiunse a de’ riti esteriori, ciò fu per mostrare che egli la donava gratis all’uomo, e poteva aggiungere quelle condizioni che a lui ben piacessero; e se questi riti volle che fossero altrettanti Sacramenti, cioè segni, egli era perchè riuscissero accomodati alla natura dell’essere, per cui salute venivano istituiti; al quale, essendo intelligente, convenia che per mezzo appunto di segni e di parole si comunicasse la vita e la salute.

13. La grazia, la quale rende forte la volontà, si comunica mediante l’intelligenza; ed è un cotal senso intellettivo quello col quale il cristiano sente il suo Dio, e di questo sentimento vive, ed è possente nell’opera. E gli Apostoli, e i loro successori, che a’ pochi Sacramenti istituiti da Cristo aggiunsero gli ornamenti di sante preghiere, di cerimonie, di esteriori significazioni e riti nobilissimi, acciocchè il pubblico culto del Redentore degli uomini riuscisse più conveniente per decoro all’Uomo-Dio, ed all’assemblea di quelli che credevano nella sua parola; seguirono in far ciò l’esempio dato loro dal Maestro divino; cioè non introdussero cosa alcuna nel tempio priva di significazione: e tutto parlare, tatto significar doveva alte e divine verità; poichè niente poteva essere muto e privo della luce del vero quanto si faceva nelle sacre ragunanze, dove convenivano ad adorare e pregare l’Essere che irraggia le intelligenze delle creature intellettive; e dove la Intelligenza suprema che riceveva l’ossequio ragionevole, segnava di sè, e di sè penetrava e vitalmente accendeva quelle nature. E queste cerimonie, questi sacramentali che la Chiesa, secondo la potestà ricevuta, aggiunge alla porzione di culto da Cristo istituita e che di tutto il culto cattolico è fondamento, non solo hanno loro proprie significazioni come i Sacramenti, ma partecipano altresì della forza vivificante di questi onde dai sacri veri significati alla mente, discende al cuore una virtù confortatrice, che riassume e rianima in esso la volontà del bene.

14. Ma facciasi un’altra osservazione sul culto cristiano, introdotto ad un tempo colla cristiana predicazione. Questo culto, al quale Iddio aveva annessa la sua grazia, che dovea rendere gli uomini atti a praticare le dottrine morali che venivano loro insegnate, non fu solamente uno spettacolo presentato agli occhi del popolo, dove il popolo non intervenisse che per vedere ciò che si faceva, e non entrasse egli stesso parte e attore in questa religiosa scena di culto. Poteva certamente il popolo de’ credenti nel Cristo essere ammaestrato col solo vedere ciò che facevasi nella Chiesa, come