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siasi scritta mai, e taluna di quelle scipite laidezze originali nella nostra lingua, edite da un famigerato editore di Milano, e simili altre cose, che mirano a tutt’altro che ad imprimere nell’animo del popolo quei santi e nobili sentimenti, che debbono essere il fine della educazione popolare. Guai! se il popolo che si cerca redimere dall’ignoranza colle scuole serali e domenicali ai guasta il gusto del hello e il senso del buono con letture frivole ed immorali!

Egli è adunque tempo che si pensi davvero a promuovere la stampa e la ristampa di quei libri che servono ad ingentilire i costumi, a spargere i semi della moralità e della virtù, e a divulgare quei trovati della scienza che giovar possono all’industria ed alle arti. La nostra letteratura, ricchissima in poemi e storie, è poverissima di quelle opere, nelle quali l’immaginazione della moltitudine può trovare diletto ed istruzione.

Tuttavia ogni periodo della nostra storia letteraria può offerire qualche tributo, non ispregevole manco sotto questo particolare rispetto di giovare all’educazione popolare. Ai nostri giorni poi uomini eminenti non isdegnarono e non isdegnano di scrivere pel popolo, Manzoni e Pellico, Balbo e Cantù, Thouar e Tommaseo, Azeglio e Conti, per tacere di altri minori.

Con tutto questo noi siamo assai lontani dagl’Inglesi, dai Tedeschi e dai Francesi, presso i quali gli scrittori popolari abbondano di numero, e dove, si può dire, che quanti fanno professione di lettere aspirano anzitutto alla gloria d’essere popolari. Epperò è frequente il vedere lo scienziato dettar libri popolari di scienza, lo storico scrivere storie per il popolo, ed il letterato inventare azioni drammatiche, nelle quali gli eroi sono del popolo, gli avvenimenti appartengono al popolo; passioni e idee, lingua e concetti tutto appartiene al popolo, e non si eleva a consi-