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libro quinto 37

trechè gli Argonauti si ungevano formaronsi quelle pietre variegate che vi si trovano ancora1. E queste favolose tradizioni vengono a confermare le cose già dette da noi; cioè che Omero non inventò di suo capo tutto quanto racconta, ma sentendo parecchie di siffatte credenze divulgate fra il popolo, egli v’aggiunse poi del suo questo solo, che le trasferì a grandi distanze, e le tramutò da uno ad un altro luogo. E però come fece uscire nell’Oceano Ulisse, così immaginò che vi fossero stati anche Giasone e Menelao, dei quali pure si raccontavano lunghi viaggi di mare.

Tanto basti aver detto intorno all’Etalia. Cirno poi da’ Romani chiamasi Corsica. Essa è male abitata per essere d’aspro terreno, e in quasi tutte le sue parti di accesso malagevolissimo: d’onde avviene che coloro i quali ne abitano i monti e vivono di ladroneccio, sono più salvatici delle stesse fiere. Quando pertanto i condottieri romani s’ inoltrano in quell’isola, e sorprendendo qualcuna delle fortezze, ne conducono via grande quantità di prigioni, è cosa miserabile a vedere la salvatichezza e la bestialità che in loro apparisce. Perocchè o non sostengono di vivere, o vivendo, coll’apatia e coll’insensibilità loro, son di tormento a chi li ha comperati; di sorte che poi sebbene li abbiano avuti per un nonnulla, nondimeno hanno a dolersi di quel che hanno speso2. Vi si trovano per altro alcune

  1. Forse i cristalli di ferro abbondanti nell’isola d’Elba, e di bello e vario colore. (Edit. franc.).
  2. Diodoro Siculo (lib. v, § 13) dice tutto al contrario.