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libro quinto 27

e mandò fuori Tirreno accompagnato da molto popolo. E questi chiamò dal proprio suo nome Tirrenia il luogo nel quale fermossi, e fondovvi dodici città, alla edificazione delle quali prepose Tarcone, da cui ebbe il nome la città di Tarquinia. Costui per la saggezza che mostrò sin da fanciullo, raccontano che nascesse canuto. Una volta pertanto quelle città, ordinate sotto un sol capo, ebbero grande potenza: ma poi è probabile che col tempo quella unione si disciogliesse, sicchè ogni città governandosi da sè, poterono essere superate dalla forza prevalente dei popoli circonvicini. Perocchè non si vuol credere che abbandonassero volontariamente un fertile paese per darsi al ladroneggio siccome fecero, corseggiando chi l’uno chi l’altro mare: mentre fintanto che avessero tutti cospirato insieme a un sol fine, erano sufficienti, non solo a respingere chiunque venisse per assalirli, ma sì anche ad assalire eglino stessi ed a fare grandi spedizioni. Dopo la fondazione di Roma, pervenne poi colà Demarato che vi condusse gente da Corinto: ed avendogli quei di Tarquinia dato ricetto, d’una moglie nativa di quel paese generò Lucumone. Il quale fattosi amico ad Anco Marzio re dei Romani, divenne poi re egli stesso, e cambiando il nome si disse Lucio Tarquinio Prisco. Costui dunque, ed anche suo padre prima di lui, abbellirono l’Etruria: questi col soccorso de’ molti artisti che avevan con lui emigrato colà dalla patria; quello colle ricchezze di Roma. E dicesi altresì ch’egli trasportasse da Tarquinia a Roma la pompa dei trionfi e l’abito consolare, e in breve