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libro settimo 193

riva dell’Istro nella Tracia cinquanta mila uomini Geti, di una schiatta che ha la medesima lingua dei Traci. Ed ora abitano quivi e sono chiamati Mesii, o che anche i loro maggiori fossero chiamati con tal nome, e poi nell’Asia l’abbiano cambiato assumendo quello di Misii; o che invece (e questo è più conforme alla storia ed a quanto dice il poeta) avessero il nome di Misii anche prima. Ma di costoro s’è detto abbastanza; ed ora procediamo al rimanente della nostra descrizione: e lasciando in disparte le cose antiche dei Geti, la loro presente condizione è questa. Berebista Geta essendo asceso alla supremazia della nazione, rimise in buono stato i suoi sudditi condotti a male da guerre continue; e tanto coll’esercizio, colla sobrietà e coll’attendere a tutte le cose opportune li innalzò, che in pochi anni venne a formare una gran signoria, ed ai Geti sottomise la maggior parte dei confinanti: che anzi riuscì terribile anche ai Romani, attraversando a suo talento l’Istro, e depredando la Tracia fino alla Macedonia e all’Illiria: quindi manomise que’ Celti che trovansi frammisti ai Traci ed agl’Illirici, e fece sparire al tutto i Boj sudditi di Critariso, ed i Taurisci. Per rendersi ubbidiente la propria nazione ebbe cooperatore quel Dicineo impostore, il quale viaggiò per l’Egitto; ed avendo quivi imparate alcune divinazioni, colle quali prediceva i voleri degli Dei, per poco non fu annoverato fra i Numi, siccome dicemmo allorchè abbiamo parlato di Zamolxi. E della ubbidienza prestata a Berebista v’ha questo indizio, che i suoi sudditi lasciaronsi persuadere a tagliare

Strabone, tom. III. 13