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libro sesto | 135 |
rialto di color cenerognolo, quale appariva ben anche la superficie del piano; e sopra quel rialto una nube imminente nell’aria a duecento piedi all1 incirca, immobile (perocchè v’era calma) e simile a fumo. Due di costoro furono arditi d’inoltrarsi in quella pianura; ma poichè sentirono di essere sopra un sabbione ardente e profondo, tornarono addietro, senza poter raccontare niente più di quanto avevan veduto coloro che stettero a risguardar da lontano. Dicevano per altro essersi a quella vista persuasi che sono favolose molte popolari dicerie sull’Etna; e quella principalmente di Empedocle, cioè, ch’egli saltò nel cratere e rimase per indizio del fatto uno dei sandali ch’egli portava di rame, il quale poi fu (come dicono) trovalo al di fuori del labbro del cratere, portatovi dalla forza del fuoco. Ma costoro giudicavano che il luogo non potesse appressarsi nè vedersi pure; e congetturavano che non fosse possibile nemmanco gettarvi dentro cosa nessuna per lo spirare dei venti all’insù, e pel calore che deve naturalmente farsi incontro a ehi vi si avvia, prima di accostarsi alla bocca del cratere: e che se pure qualcosa vi fosse gittata dovrebbe rimanervi distrutta, anzichè esserne respinta fuori di nuovo nella sua forma di prima. E ben si può credere che di quando in quaudo la forza dei venti ed il fuoco diminuiscano, venendo meno laggiù la materia; ma non mai a tal segnio però da potervisi un uomo accostare.
Sovrasta poi l’Etna principalmente alla i piaggia dello stretto e di Catania, ma a quella eziandio che va lungo il mar Tirreno accennando alle isole de’ Liparei. Di