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rito anche a traverso della barca, tanto è lunga la spada delle galeote; e in generale questa caccia pel vigore della belva somiglia a quella dei cinghiali. Di qui, dice, può congetturarsi che secondo Omero gli errori di Ulisse furono intorno alla Sicilia; perchè egli attribuisce a Scilla la pescagione or ora descritta, la quale è propria specialmente dello scoglio Scilleo, e perchè quelle cose ch’ei dice rispetto a Cariddi sono conformi ai fenomeni che si osservano nello Stretto. Perocchè in quel verso:

                             Tre fiate il rigetta e tre nel giorno
                             L’assorbe, . . .

crede che per errore di scrittura o di osservazione sia stato scritto tre volte invece di due. Così anche quelle cose che si veggono nell’isola Meninge consuonano con quelle che il poeta dice dei Lotofagi: e se in qualche parte non sono concordi bisogna recarne le differenze o alla mancanza di cognizioni precise, od alla proprietà della poesia, che si compone di storia, di disposizione e di favola. Il fine poi della storia è la verità; come fece il poeta nell’enumerazione delle navi assegnando a ciaschedun lungo le qualità ad esso proprie, sicchè quale città disse pietrosa, quale ultima, quale abbondante di colombe, e quale vicina al mare. Della disposizione è fine l’evidenza, come quando introduce dei personaggi a combattere. E la favola finalmente tende al diletto ed alla meraviglia. Ora il fingere tutto non è nè credibile nè omerico: perocchè la poesia di lui è da tutti considerata come veramente filosofica, allontanandosi da Eratostene il quale comanda