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Tutta la Gallia Narbonese produce que’ frutti medesimi che l’Italia. Chi va poi verso il settentrione ed il monte Cemmeno trova che l’olivo ed il fico vengono meno, ma tutte le altre cose vi allignano. Avvi anche la vite, ma non reca facilmente a maturanza le uve. Tutto il restante della Gallia produce molto frumento e miglio, e ghiande, e bestiame d’ogni generazione. Nessuna parte di quella provincia è lasciata oziosa, fuor pochi luoghi dove le paludi ed i boschi impediscono la coltura: ed anche questi però sono abitati, ma pel gran numero delle genti anzichè per la loro industria: perocchè quivi le donne sono fecondissime e sanno ben nutrire i lor parti, ma gli uomini si danno al mestiere dell’armi piuttostochè all’agricoltura. Ora per altro sono necessitati, deposte l’armi, di attendere alla coltivazione dei campi. E questo io dico in generale di tutta la Celtica al di là delle Alpi1. Ripigliando ora il discorso intorno a ciascuna delle sue quattro parti, ne daremo una breve descrizione facendo principio dalla Narbonese.

Questa provincia in quanto alla figura è una specie di parallelogrammo2, circoscritto a occidente da’ Pirenei, dal Cemmeno a settentrione, a mezzogiorno dal mare che stendesi fra i Pirenei e Marsiglia, all’Oriente, in parte dalle Alpi, in parte da una linea retta che va

  1. La Gallia Transalpina, come i Romani dicevano; cioè la Francia.
  2. Anche questa figura si fonda sull’opinione dell’Autore in torno alla situazione de’ Pirenei e delle Cevenne. (G.)