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libro terzo 349

cento talenti: d’onde è lecito congetturare che i Celtiberi erano numerosi e ricchi, sebbene abitassero un paese infecondo. E dicendo Polibio che Tiberio Gracco sottomise in quella regione trecento città, Posidonio ne lo motteggia, affermando ch’esso per gratificarsi a Gracco chiamò città anche le torri; come suol farsi nelle pompe trionfali1. E forse Posidonio dice il vero: perocchè e i condottieri di eserciti e gli storici inclinano di leggieri a così fatte menzogne, per abbellire le imprese: e in quanto a me stimo che anche coloro i quali contano nell’Iberia più di mille città, le facciano ascendere a questo numero col dare il nome di città alle grandi borgate. Perocchè la natura di quella regione non pare capace di molte città, per essere sterile, fuor di mano e selvaggia. Nè il modo del vivere e le costumanze degli abitanti (tranne sol quelli che stanno lungo la spiaggia del nostro mare) possono aggiunger fede alla costoro asserzione. — Perocchè gli abitanti dei villaggi, che sono i più degli Iberi, sono selvaggi; nè le città possono quivi facilmente addolcirne i costumi, per essere circondate da coloro che abitano nelle selve a fine di poter nuocere altrui. Dopo i Celtiberi verso il mezzogiorno stanno coloro che abitano il monte Orospeda ed i luoghi lungo il Sucrone; come a dire i Sidetani, che stendonsi fino a Cartagena, i Bastetani e gli Oretani fin quasi a Malaca.

Gl’Iberi poi usano, quasi potremmo dir tutti, lo

  1. Allude all’usanza di portar ne’ trionfi le immagini de’ luoghi conquistati.