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316 | della geografia di strabone |
glio che con altro; perchè quella fiamma leggiera si confà a questo metallo che cede e fondesi facilmente; ma il carbone ne consuma gran parte, sciogliendolo con troppa veemenza e facendolo svaporare. Ne’ letti dei fiumi si raccoglie, e lavasi quivi appresso in conche; ovvero si scava un pozzo, e si lava la terra che se ne trae1. Le fornaci poi dell’argento sogliono costruirle elevate, acciocchè il fumo di quelle glebe si disperda nell’alto: perocchè è incomodo e pernicioso. Alcune miniere di rame diconsi miniere d’oro; d’onde argomentasi che in antico vi si scavasse questo metallo.
Posidonio pertanto lodando il gran numero e la bontà delle miniere non si astiene dalla consueta sua rettorica, ma come entusiasta esce in iperboli. Però protesta ch’egli non ricusa di credere a quella favola, secondo la quale essendosi una volta incendiati i boschi, la terra liquefatta mandò ribollendo alla superficie l’argento e l’oro che aveva dentro di sè; d’onde poi ogni monte e ogni colle è tutto materia da far monete accumulatavi da liberale fortuna. E in generale, soggiunge, chiunque vedesse cotesti luoghi direbbe che sono i tesori inesauribili della natura, o l’erario d’un perpetuo principato. Perocchè, dice, non è quello soltanto un paese ricco; ma anche nelle viscere del terreno v’abbondano i tesori; sicchè presso quelle genti abita veramente sotterra non Plutone, ma Pluto2. Così Posidonio parla di queste materie con un linguaggio pom-