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posto in continui pericoli, sarebbe avvenuto di riuscirne sempre felicemente. Come poi, essendo scampato da Bogo, non temette di navigar nuovamente lungo la Libia1 con un apparecchio sufficiente a popolare un’isola? Coteste asserzioni dunque non differiscono molto dalle bugie di Pitea, di Evemero e di Antifane; se non che a quelli perdonansi perchè la loro professione non differisce punto da quella dei ciarlatani; ma ad un filosofo che vuol ragionare sulle dimostrazioni, e che per poco non pretende il primo posto, come mai si potrebbero perdonare? In questo adunque Posidonio non ragionò rettamente.

Ma circa al sollevarsi qualche volta la terra e poi abbassarsi, e rispetto alle mutazioni che nascono dai tremuoti e da quelle altre cagioni che noi medesimi abbiamo enumerate, egli parla assai bene. Ed in questo proposito egli soggiunge opportunamente anche quel detto di Platone, ove dice che quanto affermasi dell’isola Atlantide potrebbe forse non essere favoloso; perchè Solone, che ne sentì parlare dai sacerdoti d’Egitto, riferì che quest’isola la quale una volta sussisteva e poscia disparve non era nella sua estensione minore del continente: e questa gli pare più ragionevole opinione che non sia l’altra, secondo la quale chi la immaginò l’avrebbe anche fatta sparire; siccome intervenne a quella muraglia dei Greci ch’è descritta da Omero2.

  1. L’Africa, o più esattamente la Maurosia. (Ed. franc.)
  2. Omero nel lib. vii, v. 337 dell’Iliade parla di un baluardo eretto da Agamennone per mettere i suoi Greci al sicuro. Nessuno potè mai trovarne vestigio; di che molti fecero varie congetture: ma Aristotele fu invece d’avviso che fosse una pura invenzione di Omero.