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libro secondo | 159 |
al Caucaso; perocchè già si è detto che secondo Deimaco questi Battri sono più settentrionali di Ierna lo spazio di tremila e ottocento stadii: e se a questi aggiungiamo quelli che sono da Marsiglia a Ierna ne avremo dodici mila e cinquecento. Ma chi mai notò in que’ luoghi (dico in quei verso Battra) questa durata dei giorni più lunghi, o l’elevazione del sole nel solstizio d’inverno? Perocchè queste sono cose tutte manifeste anche allo sguardo dell’idiota, ed alle quali non fa bisogno veruna matematica spiegazione: di modo che ne avrebbero parlato molti sì degli antichi e sì dei moderni fino ai dì nostri, i quali hanno descritto le cose persiane. E come mai la fertilità, già detta, di que’ luoghi si accorderebbe con siffatti fenomeni celesti? Da queste cose pertanto è manifesto come Ipparco, sebbene sapiente, combatta la dottrina di Eratostene, opponendo alle dimostrazioni le cose tuttora incerte, quasi che fossero di ugual peso.
Appresso, volle Eratostene provare che Deimaco fu inesperto e ignorante di queste cose, perchè dice che l’India giace fra il punto equinoziale dell’autunno ed il tropico d’inverno, e si oppone a Megastene dove afferma che nelle parti meridionali dell’India si veggono tramontare le due orse, e l’ombra cadere in opposte direzioni, assicurando che nessuna di queste cose succede in veruna parte dell’India. «Tutto questo, dice Eratostene, è affermato per ignoranza. Il dire che il punto equinoziale dell’autunno e quello della primavera differiscono nella loro distanza dai tropici è cosa d’uomo ignorante, essendo in entrambi uno solo il punto