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- 15 • Ricercare perché il Bembo riuscisse ad acquistare nel suo secolo tanta autorità da dar legge nelle cose di lingua e di poesìa, non è dì questo luogo. Ci basti il fatto che gli fu dato lode universalmente di restauratore della lingua e del buon gusto, e fu considerato quasi arbitro del parlar nostro. A lui dava a rivedere* l’Ariosto il suo Orlando (i), il Castiglione il Cortigiano (^): a lui dice il Giraldi non dover meno la nostra favella che ai lor padri Dante, Petrarca e Boccaccio (^). La rocca del bembismo fu V Italia settentrionale, specialmente il Veneto. Ivi dove sulla fine del quattrocento il valore dei tre grandi trecentisti era SI poco inteso e conosciuto (^j che, attendendosi nelle opere le^erarie solo alle cose, " nel Petrarca i Trionfi e delle favole del I?occaccio le meno oneste si ripuia.^vano le più belle „ (^), il Bembo insegnò la gloria di quei valenti scrittori esser riposta non nelle cose, ma negli stili *e nella eleganza delle parole {^). E non pro(*) Lettere; Bologna, Romagnoli, 1866; pp, 297 sg. (8) Lettere; Padova; 1769, I, 159. C) Discorso dei Romanzi in Scritti estetici; Milano, Daelli, 1864; 1,98. (*) Notevoli le parole che nel Dialogo dell’istoria lo Speroni mette in bocca a Paolo Manuzio: «Messer Aldo mio padre, che stampò Dante e il Petrarca, lodava Dante non per suo proprio giudicio, ma per quello dell’Accademia del gran Lorenzo de’ Medici. Del Petrarca dicea da sé che innanzi al Bembo non era noto né in Lombardia né in Vinezia ma che per soli quei suoi trionfi, ultimi in tempo tra le sue rime, e con stile canuto composti, ed or per quello che se ne dice ultimi in fama e fuor del numero delli eletti» ( Opere, ediz. cit, li, 269). (^) Speroni, ivi. III, 164. (^) Speroni, ivi.