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si ponessero agli studi con lo stesso fine con cui le vanerelle infelici si affaccendano allo specchio, gli studi sarebbero a quelle ciò che a queste gli ori e i cincinni. Nel fine adunque che le agiate fanciulle hannosi a proporre, quando i diligenti genitori le pongono ad eletti studi, v’è qualche cosa di più che non il poter dire — Io so di francese, di tedesco e d’inglese, io i più bei luoghi di Dante, di Petrarca e di Tasso; io scrivo gentili e forbite letterine, io novelle e canzoni; io so le origini e le leggi che governano l’universo, io i nomi di tutti i mari, di tutti i fiumi, di tutti i monti, di tutte le città, e i costumi di tutti i popoli, e suonare e cantare e dipingere....! — Io non esagero, o Signori, come cose affatto disgiunte dalla felicità della famiglia e della patria noi siamo comunemente avvezzi a riguardare tutte queste attitudini nella donna, come cose insomma che o sia superfluo lo averle, o, avendole, s’abbian solo a godere per inganno del tempo o dell’ozio. Ma in verità sono alquanto da scusare le false opinioni che intorno a ciò si hanno nell’universale, ove si ponga mente al modo con cui, infuori di pochi onesti, adempiono l’ufficio loro quanti coltivan lettere e scienze, perchè in luogo di esser queste veramente e solamente esercitate al trionfo del vero e del buono, e ad ingentilire e nobilitare i cuori e