Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
97 |
Più cieche e in maggior danno
15L'anime lascia, d'ogni valor vôte.
Quel che sveglia le menti e che sì piace,
Nelle caverne umili
Nudrío la terra. Quel lume verace,
Che regge il tutto e face,
20Schiva d'anime oscure i pensier vili.
Chiunque potrà mai mirar tal luce,
Certo dirà: vêr lei Febo non luce.
PROSA UNDECIMA.
Consento, risposi, perchè tutte le dette cose, annodate con fermissime ragioni, sono manifeste. Allora ella: Quanto stimeresti tu, disse, il conoscere che cosa sia esso bene? Infinitamente, risposi, posciach'egli m'avverrà di conoscere insiememente ancora Dio, il quale è il sommo bene. Questo, disse, ti manifesterò io con verissima ragione, solo che ferme stiano quelle cose, le quali poco dinanzi furono da noi conchiuse. Staranno, risposi. Ed ella: Non abbiam noi, disse, dimostrato, quelle cose che sono dai più desiderate, perciò non essere veri e perfetti beni, perchè elleno sono discordanti e differenti tra sè, e, conciosiachè all'una di loro manchi l'altra, non potere il pieno e assoluto bene arrecarne? e allora farsi e risultarne il vero bene, quando elleno come in una forma e quasi composizione si raccolgono insieme tutte quante, di maniera che quella, la quale è sufficienza, ovvero bastanza, la medesima sia ancora potenza, riverenza, chiarità e piacere? E se tutte queste non sono una medesima, non doversi annoverare a patto niuno