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quante una medesima. Oh felice te, allievo mio, per cotesta opinione, disse ella, se tu però v'aggiugnerai! E che cosa? risposi io. Pensi tu, soggiunse ella, che tra queste mortali e caduche alcuna cosa si ritrovi, la quale uno stato così fatto possa arrecarne? Ed io: Mainò che nol penso, risposi; e ciò è stato da te cotalmente dimostrato, che desiderare più oltra non si può. Queste cose dunque, soggiunse ella, pare che n'apportino a' mortali o imagini e sembianze del vero bene, o alcuni beni imperfetti; ma il vero bene e perfetto arrecare non possono. Lo concedo, risposi. Avendo tu dunque, rispose ella, qual sia la vera felicità conosciuto, e quali siano quelle che falsamente la rappresentano, resta ora che tu, onde possa dimandare e conseguire questa vera, conosca. Questo è quello, dissi io, che già buona pezza grandemente attendo. Allora ella: Con ciò sia cosa, cominciò, che, come piace nel Timeo al nostro Platone, ancora nelle cose menomissime si debba l'ajuto divino chiedere supplicemente, che pensi tu che ora far si debba a fine che la sedia del sommo bene di ritrovare meritiamo? Da invocare, risposi io, il Padre di tutte le cose, lo quale tralasciato, niuno cominciamento rettamente si fonda. Bene hai detto, rispose ella; e tantosto a cantare incominciò:


LE NONE RIME.

Alto Signor, che 'l ciel, la terra e 'l mare
     Creasti solo, e con eterne leggi
     Quanto si cela agli occhi e quanto appare
     Governi solo e reggi,