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ciare da sè queste cose, manca d'essere possente; la qual cosa egli sopra tutte l'altre desiderava. Nel medesimo modo si può degli onori, della gloria e de' piaceri discorrere; perciocchè essendo, qual s'è l'una di queste cose, quella stessa che tutte l'altre cinque, chiunque chiede alcuna di loro senza l'altre, nè quella ancora, che egli desidera, non conseguisce. E io: Che debbo dunque dire, soggiunsi, se alcuno tutte insieme desidera d'acquistarle? Ed ella: Che egli voglia, rispose, la somma della beatitudine; ma pensi tu che egli debba in quelle cose trovarla, che poco fa dimostrammo non poter dare quello che promettono? Mainò che nol penso, risposi io. Dunque, seguitò ella, non si debbe la beatitudine per nessun modo in alcuna di quelle cose cercare, le quali si crede che una sola diano di quelle cose che si desiderano. Ed io: Confessolo, dissi, e niuna cosa può dirsi più vera di questa. Tu hai dunque, rispose ella, la forma della falsa felicità e le cagioni, per che sia tale: piega ora lo sguardo della mente nella parte contraria, perchè quivi incontanente vedrai la vera, la quale promessa t'abbiamo. Al che io risposi: Questa è chiara infino a coloro che sono ciechi; e tu poco fa, mentre che d'aprire le cagioni della falsa ti sforzavi, la dimostrasti. Perchè quella, se io non sono ingannato, è la vera e perfetta felicità, la quale può fare compiutamente colui, che l'ha, sufficiente, possente, riverendo, famoso e lieto: e, a fine che tu conosca me avere bene addentro considerato, io non ho dubbio alcuno che quella sia l'intera beatitudine, la quale può una sola di queste cinque cose veracemente arrecare, essendo elleno tutte