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PROSA SETTIMA.

Ma che dirò io dei diletti del corpo, il cui appetito è pieno d'ambascia, e la sazietà di pentimento? Quanti morbi sogliono essi, quanti incomportabili dolori, quasi come un frutto di lor malvagità, nei corpi recare di coloro che gli godono? Il movimento de' quali qual giocondità s'abbia non so; ma che i fini de' piaceri siano dolorosi, chiunque vorrà ricordarsi delle sue libidini conoscerà; i quali se possono fare beati, niuna cagione vieta che anco le bestie non debbano chiamarsi beate, le quali ad altro, che a riempiere la votezza del corpo, non intendono. Onestissimo certamente sarebbe il diletto della moglie e dei figliuoli; ma troppo fu detto naturalmente non so chi aver trovati i figliuoli per nostri tormentatori: la condizione de' quali, e sia qual si voglia, quanto sia mordace non fa mestiero di ricordarlo a te, il quale e l'hai provato altre volte, e ora ne stai pensieroso: nella qual cosa io approvo la sentenza del mio Euripide, il quale disse che chi è senza figliuoli ha una felicissima disavventura.


LE SETTIME RIME.

Tutti i diletti umani
     Han per natura tormentar coloro
     Che, preda fatti e vil mancipii loro,
     4Son divenuti insani.
E quasi ape, che, poscia
     C'ha versato il liquor che tanto piace,
     Fugge, e, lasciato al cor l'ago tenace,
     8Ne dà perpetua angoscia.