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che pungano e siano aspre alquanto; ma, ingojate e mandate giù, divengono dolci e soavi. E, dove tu di’ che sei desideroso d’ascoltare, oh di quanto ardore avvamperesti tu, se, dove a menarti già cominciamo, conoscessi! E dove? dissi io. Alla vera felicità, rispose ella, la quale è ben conosciuta ancora e desiderata dall’animo tuo, ma come per un sogno; perciocché, essendo tu vôlto tutto e intento a riguardare le immagini e sembianze sue, lei stessa vedere non puoi. Allora io: Deh fallo, dissi, chè io te ne priego; e quale quella vera sia, senza indugio mi dimostra. Farollo volentieri, mi rispose, per amor tuo; ma prima mi sforzerò di disegnare con parole e quasi formarti quella, della quale tu hai contezza maggiore, a fine che, veduta da te la falsa felicità, possa, quando rivolgerai gli occhi nella parte contraria, conoscere la vera.
LE PRIME RIME.
Chi seminar terra non colta, e frutto
Coglier da campo non più arato vuole,
Sveller gli sterpi, e colla falce suole
Di roghi e felci pria purgarlo tutto.
5Il mel, se 'l ver comprendo,
Dopo alcun breve amaro
Si gusta più soave, e vien più caro.
Dopo aspra pioggia e tempestosi venti
Par che più dolce rimiriam le stelle;
10Dopo atre notti, più lucenti e belle
Luci più vago il sol mena alle genti:
Così tu, prima i ben falsi scorgendo,
Comincia a trar dal duro giogo il collo;
Poi de’ veri sarai lieto e satollo.