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dar compimento, veggendo ciò Dio, è cosa quasi mostruosa e non naturale, nè ragionevole. Laonde non senza ragione fece già uno dei tuoi famigliari questa dimanda: Se egli è il vero che Dio sia, onde procedono i mali? e se egli non è, i beni da chi vengono? Ma ponghiamo che gli uomini scelerati, i quali desiderano il sangue di tutti i buoni e la ruina di tutto il senato, avessero cagione di voler ruinare e levarsi dinanzi anco me, lo quale vedevano sempre la difesa de’ buoni e del senato pigliare: dovevano però ancora i senatori cercare questo medesimo? Tu ti ricordi, penso io, perciocchè mai non diceva nulla, nè faceva, che tu non vi fossi presente, e mi dèssi la norma; tu ti ricordi, dico, quando il re in Verona, disideroso della ruina comune, s’ingegnava di trasportare quel peccato, il quale era stato apposto ad Albino solo, d’avere offeso la maestà sua, e porlo addosso a tutto l’ordine senatorio, come se ne fosse stato conscio e colpevole tutto il senato, quanto io, non curando nè pericolo alcuno, nè danno che avvenire di ciò mi potesse, difesi liberamente l’innocenza di tutti quanti. Sai ancora che queste cose, le quali dico, sono vere, e che io mai vantato non me ne sono: perciocchè ogni volta che alcuno, facendo la mostra delle opere buone da lui fatte, e quasi bandendole, ne riceve la fama per guiderdone, egli viene a scemare in un certo modo il pregio e la propia virtù della buona coscienza, la quale si gode fra sè stessa segretamente, contentandosi di sè medesima, senza curare che altri o sappia o appruovi le lodi sue. Ma quello che di ciò sia avvenuto