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pria natura, non sia lodevole e buono: nè giudico che a me sia lecito, secondo che Socrate sentenziò, nè nascondere la verità negando quello che è vero, nè concedere la menzogna confessando quello che è falso. Ma di questo mi rimetto al giudizio tuo e degli uomini sapienti; e perchè i posteri nostri, e tutti coloro i quali verranno dopo noi, sappiano l’ordine e la verità di questo fatto, m’è piaciuto di scriverla, e alla memoria delle lettere raccomandarla. Nè mi pare da ragionare di quelle lettere, le quali falsamente dicono me avere scritto sperando di dover ritornare in libertà Roma; perciocchè se m’avessero conceduto, come dovevano, avendo ciò in tutte le cause forza grandissima, lo stare alla ripruova cogli accusatori miei, la frode e inganno loro si sarebbe manifestamente conosciuto: perciocchè quale altra libertà si può più sperare oggimai? Volesse Dio che alcuna sperare se ne potesse! io avrei risposto come fece Cannio, il quale dicendogli Caio Cesare, figliuolo di Germanico, come era consapevole d’una congiura fattagli contra: Se io, disse, l’avessi saputa io, tu non l’avresti saputa tu. Nè credere però che la malinconía in questo mio caso m’abbia tanto ingrossato la mente e sì traviato dal diritto conoscimento, che io mi lamenti che gli uomini empii e scelerati abbiano cose empie e scelerate contra la virtù macchinato. Ma bene mi meraviglio grandemente che l’abbiano ad effetto mandate, come speravano: conciosiachè il desiderare male può procedere dal difetto nostro; ma che ogni ribaldo possa alle cose, che s’ha conceputo di volere operare contra uno innocente,