sto un dazio gravissimo ed inestricabile a tutta la Campagna, chiamata oggi Terra di Lavoro, il quale era senza dubbio alcuno per impoverire e rovinare quella provincia, io, solamente per lo bene pubblico, ne presi la difesa contra il capitano della guardia del palazzo, che l’aveva posto; ed in presenza del re, che n’era giudice, la contesi con esso lui, ed ottenni che ella riscuotere non si dovesse. Io medesimo cavai di bocca a coloro, i quali lo si volevano mangiare, Paulino uomo nobile, e che era stato Consolo, le cui ricchezze già si avevano colla speranza ed ingordigia loro inghiottite e trangugiate i cagnotti della corte. Io, perchè Albino, uomo medesimamente consolare, accusato iniquissimamente, non fosse malvagiamente condannato, non mi curai d’incorrere nell’odio e malivoglienza di Cipriano, suo falso accusatore. Or non ti pare egli che io mi sia concitato contra nimistà assai potenti ed assai crudeli? Ma io doveva bene appo gli altri essere sicuro, posciachè non mi era per zelo della giustizia appresso i cortegiani del palazzo riserbato favore nessuno; e questi stessi sono quelli che mi hanno falsamente accusato, uno de’ quali, cioè Basilio, rimosso già dalli servigii del re, è stato costretto a pigliare l’accusa contro noi dal debito grande che egli ha. Opilione e Godenzo, essendo stati dal re per le molte e diverse frodi e ribalderíe loro sbanditi, e non volendo ubbidire, si difendevano collo starsi in franchigia per le chiese; la qual cosa risaputo il re, fece bandire che sa eglino fra tanti dì non si fossero da Ravenna partiti, dovessero prima essere suggellati, e