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LE QUARTE RIME.
A che giova eccitar tanti tumulti,
E con la propria mano
3Il suo fato affrettar, forse lontano?
Se chiedete la morte, ella vicina
Per sè medesma viene,
6Nè i veloci corsier giammai ritiene.
Cui dan serpi, leon, tigri, orsi e lupi
Col dente estremo danno,
9Essi col ferro ad ammazzarsi vanno.
Forse perchè di lingue e di costumi
Varii sono e diversi,
12Muovon guerra tra lor Medi, Indi e Persi,
E vuol ciascuno or vincere, or morire?
Ma non è giusta questa
15Cagion di crudeltà sì manifesta.
Vuoi tu condegno guiderdone a’ merti
Render, come tu déi?
18Ama i buon sempre, e sii pietoso a' rei.
PROSA QUINTA.
Io veggio, dissi allora, quale o felicità o miseria ne’ proprii meriti degli uomini buoni e cattivi posta sia. Ma io considero che anco in questa fortuna popolare e del volgo è alcuna cosa così di bene, come di male; perciocchè niuno saggio vorrebbe esser piuttosto ribello, povero e infame, che splendido di ricchezze, reverendo d’onore, gagliardo di potenza starsi nella sua città in buono e fiorito stato; perciocchè in cotal modo possono più chiaramente i savii e con maggior grido e testimonianza esercitare l’uffizio loro; conciosiacosachè la beatitudine di coloro che reggono si trasfon-