Pagina:Della consolazione della filosofia.djvu/127


127

non credere alla conchiusione; per che questo ancora, che io voglio dire ora, potrebbe parere non meno strano; ma per quelle cose, che sopra prese e provate si sono, è non meno di quello necessario. Che cosa? dimandai io. Ed ella: Più felici, rispose, essere i malvagi quando sono puniti delle loro iniquità, che quando nulla pena di giustizia li raffrena; nè voglio ora intendere, come potrebbe credere ciascuno, che i rei e tôrti costumi s’ammendino mediante la punizione, e si ritirino al buono e al diritto collo spavento de’ tormenti, e che ancora diano esempio agli altri di fuggire le cose biasimevoli. Ma in un certo altro modo arbitro che i rei siano più infelici quando castigati non sono, ancorachè non si tenesse conto nessuno della correzione, nè s’avesse alcun rispetto all’esempio. E quale altro modo sarà, dissi io, fuori di questo? Ed ella: Non abbiamo noi conceduto, rispose, i buoni essere felici, e miseri i rei? Così è, dissi. Dunque, ripigliò ella, se alla miseria di chi che sia s’aggiugnesse alcun bene, non sarebbe quel tale più felice di colui, la cui miseria è pura e sola, senza mischiamento d’alcun bene? Così è manifesto, risposi. E se al medesimo sciagurato, disse ella, il quale manchi di tutti i beni, s’aggiugnesse, oltra quegli per li quali egli è sciagurato, uno altro male, non è egli da dovere essere molto più infelice giudicato di colui, la cui sventura mediante quel bene, che egli partecipa, s’alleggerisce? Perchè no? risposi. Hanno dunque, replicò, i cattivi, quando sono puniti, alcun bene aggiunto e collegato, cioè essa pena, la quale, se si considera quanto alla giustizia, è buona; e i me-