si; ma ben fortemente desidero che manchino tosto di questa mala ventura, privati della possanza di poter male operare. Eglino, rispose, ne mancheranno più tosto che tu forse non vorresti, o essi non pensano di doverne mancare: conciosiachè in tanto brevi termini di vita non è cosa alcuna così tarda, che l’animo, massimamente essendo immortale, giudichi lungo l’aspettarla. E bene spesso ancora la grande speranza e l’alta fabbrica delle scelleraggini loro è repente, e da non isperato fine rotta e distrutta. La qual cosa però pon termine e arreca fine alla loro miseria; perchè, se la malvagità fa gli uomini miseri, quanto un tristo vive più, tanto di necessità è più misero: i quali io per me infelicissimi giudicherei che fossero, se almeno l’ultima morte la loro malizia non terminasse: perciocchè, se noi della sciagura e disgrazia della pravità e tristizia abbiamo veramente conchiuso, egli è manifesto quella miseria essere infinita, la quale è certo che è eterna. Maravigliosa per certo, dissi io allora, e a concedere malagevole è cotesta conchiusione; ma a quelle cose che prima concedute si sono, pur troppo convenirsi conosco. Dirittamente stimi, rispose; ma a chi pare strano concedere la conchiusione, ragionevole cosa è che egli o dimostri alcuna delle due proposizioni che sono andate innanzi, le quali i loici chiamano premesse, essere falsa; o provi che il congiugnimento di cotali premesse non è efficace a conchiudere necessariamente quello che egli intende: altramente, concedute le cose precedenti, cioè le due premesse, non può a patto alcuno trovare cagione nè scusa nessuna di