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il quale è e il maggiore e il più bello di tutti gli altri; per che ricordati di quel corollario, il quale poco dianzi ti diedi singolare, e raccogli conchiudendo in questa maniera: essendo il sommo bene la beatitudine, manifesta cosa è che tutti i buoni per lo essere buoni divengono beati; e quegli che sono beati, conviene che siano Dii. È adunque il premio de’ buoni divenire Dii, lo quale nessuno tempo logora, nessuna podestà menoma, nessuna malvagità offusca: le quali cose stando così, non può un savio dubitare della pena de’ rei, la quale da loro mai non si scevera; perchè, conciosiacosachè il bene e il male, similmente il premio e la pena siano del tutto contrarii, egli è di necessità che quelle cose, le quali nel premio del bene vediamo avvenire, rispondano dall’altra parte nella pena del male. Come dunque ai buoni è premio essa bontà, così a’ malvagi essa malvagità è tormento. Oltra ciò, a chiunque è data alcuna pena non dubita che alcun male gli sia dato: se essi dunque volessero sè medesimi stimare, possono eglino parere a sè stessi senza parte di pena, posciachè la malignità, la quale è l’ultima di tutti i mali, non solo gli tocca, ma gli sozza e imbratta? Vedi ora dalla contraria parte dei buoni qual pena accompagni i rei. Ogni cosa, che sia, essere una, e l’uno stesso essere buono apparasti, non è molto: alla qual cosa consegue, che tutto quello che è, sia ancora buono. Dunque in questo modo tutto quello che manca del bene, manca ancora dell’essere; del che avviene che i rei lasciano d’essere quello che erano, ma loro essere stati uomini mostra la forma del corpo