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eziandío l’essere, il quale è nella sua natura posto, abbandona. Ma tu dirai: i malvagi hanno pur potere; nè io lo ti negherò: ma questa loro potenza non da forze, ma da debolezza discende; perciocchè possono fare i mali, i quali far non potrebbero, se in quello fossero rimanere potuti, che i buoni far possono: la qual possibilità loro niente potere evidentemente dimostra; perchè se il male, come poco fa conchiudemmo, non è nulla, non potendo essi se non i mali, chiara cosa è che i cattivi non possono nulla. Chiara, risposi. Ed ella: A fine che tu intenda bene chente sia la forza di questa potenza, noi abbiamo, poco è, disse, diffinito che nulla cosa è del sommo bene più possente. Così è, dissi. Ma il sommo bene, soggiunse, non può fare male. No, dissi. È dunque alcuno, replicò, il quale pensi che gli uomini possano tutte le cose? Nessuno, risposi, se non è qualche pazzo. E i medesimi uomini possono, disse, fare i mali? Così non potessero! risposi. Con ciò sia cosa dunque, disse ella, che solo colui che può i beni, possa tutte le cose, e quegli che possono ancora i mali, non possono tutte le cose, egli è manifesto che quegli stessi che possono i mali, possono meno che i buoni non fanno. A questo s’aggiugne, che noi ogni potenza doversi annoverare tra le cose desiderabili, e tutte le cose desiderabili al bene come a un certo quasi capo della sua natura riferirsi, dimostrato abbiamo: ma la possibilità di potere alcuna sceleratezza commettere non può riferirsi al bene; dunque non è desiderabile: ma ogni potenza è da desiderare; dunque è manifesto che la possibilità