Dio essere il sommo bene e la piena beatitudine; onde niuno poteva esser beato, il quale parimente non fosse Dio, come un vantaggio e quasi per giunta ne donavi: poi, ripigliando da capo, la forma stessa del bene essere la propria sostanza di Dio, e della beatitudine ragionavi: dicevi ancora, che esso uno è quel proprio bene che da tutte le cose naturalmente si desidera: disputavi medesimamente, che Dio col timone della bontà l'universo reggeva, e che tutte le cose l'ubbidivano di loro volere, e che il male non aveva natura nessuna: e queste cose tutte quante non con argomenti spiegavi presi di fuori; ma con prove interne e dimestiche, l'una cosa traendo fede dall'altra, dimostravi. Noi non beffiamo, disse allora, e abbiamo, la buona mercè di Dio, lo quale dianzi pregavamo, fornito la maggiore di tutte le cose; perciocchè la forma della sostanza divina è cotale, che ella nè va a cosa alcuna di fuori, nè alcuna di fuori in sè ne riceve; ma, come disse di lei Parmenide, ella ruota il cerchio mobile di tutte le cose, e sè medesima conserva immobile. E, se non abbiamo usato ragioni cavate di fuori, ma locate dentro il cerchio della materia che trattavamo, non te ne debbi maravigliare tu, avendo imparato che le parole, secondo che determinava Platone, debbono essere convenienti alle cose delle quali favellano.