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della congiura di catilina | 21 |
capitani dalla calunnia di pochi, corrotti ed usi a trafficar d’ogni cosa, impedito era stato fin allora il meritato trionfale ingresso in Roma. A Capova si mandò Pretore Quinto Pompejo Rufo; nei Piceni, Quinto Metello Celere: a loro concesso di levar gente secondo l’opportunità e il pericolo. Inoltre, a chi svelasse la congiura contro la Repubblica, se servo fosse, gli si fissò in premio la libertà e cento sesterzj; se libero, l’impunità e mille sesterzj. Si distribuì in Capova e negli altri municipj secondo la lor facoltà, un convenevole numero di gladiatori: posaronsi per tutta la città delle ascolte, comandate dai magistrati minori.
XXXI.
Erano per queste novità i cittadini sossopra, e mutato di Roma l’aspetto. La somma allegrezza e petulanza, figlie della lunga pace, rivolte repentinamente in tristezza: un andare e venire, un affrettarsi, un incessante ondeggiare; un diffidarsi a vicenda d’ogni luogo e persona; un non v’esser guerra, e non pace: ciascuno dal proprio timore arguire la grandezza del pericolo. Le donne inoltre, a cui, stante la vastità della Repubblica, timore di guerra non era pervenuto in Roma giammai, ad accorarsi, ad ergere supplichevoli al Cielo le mani, compassionare i lor pargoletti, interrogare ciascuno, di tutto tremare; e, la superbia e mollezza obbliate, di se stesse e della patria disperare. Ma il crudel Catilina non desisteva già dall’impresa, benchè combattuta; ed interrogato secondo la legge Plauzia da Lucio Paolo, o per più dissimulare, o sperando scolparsi quasi che calunniato foss’egli, in Senato apparì. Cicerone allora, sia che la di lui audacia temesse, o il trasportasse lo sdegno, pronunziò contr’esso con molto pro della repubblica una luminosa orazione, la quale dappoi pubblicò. Detta ch’ei l’ebbe, Catilina già preparato a dissimulare ogni cosa, con dimessa faccia, e supplichevole voce diedesi a pregare i Padri di non credere leggiermente tai cose di lui; di cotale stirpe esser egli, e fin dall’adolescenza, di tali costumi, che lecito gli riusciva sperare legittimamente ogni onore; non estimassero essere necessaria la rovina della Repubblica a lui patrizio, che per se e pe’ maggiori suoi moltissimo beneficata l’avea, quando in difesa di essa vegliava un Marco Tullio, in Roma straniero. Ed a queste aggiungendo molt’altre invettive, si levò a romore il Senato, nemico e parricida chiamandolo. Egli allora furibondo: « Poichè da nemici attorniato, (gridò) a manifesta rovina son tratto, non perirò solo io. »