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DELLE DONNE 69

nel secolo XVII da Grozio, da Hobbes e da Pufendorf, continuata nel secolo XVII da Tomasio e da Wolfio non abbia saputo insegnar altro a proposito della condizione giuridica delle donne fuorché il vecchio aforismo della fragilitas sexus. Quando poi nel secolo XVIII incominciò con Locke e Montesquieu uno studio più libero e concreto delle leggi sociali, furono le quistioni politiche di preferenza trattate.

Vi hanno però in Locke1 idee nuove, e degne di essere qui ricordate intorno ai diritti delle madri verso i figli, idee che, dopo essere state inosservate e sterili per lungo tempo, sono ricomparse nella dottrina e in molti codici dei giorni nostri, e vengono da tutti avute in conto di notevole progresso così della opinione come delle leggi. Combattendo il Locke quell'argomento in favore del dispotismo regio, che si riponeva allora, come in ogni tempo, nella pretesa somiglianza dal regio potere al potere patrio, egli fu tratto ad analizzare quest'ultimo, e a correggere la volgare opinione che tutto il potere domestico si concentri nel padre, rimanendone esclusa la madre, «Se noi consideriamo, egli dice, la ragione e la rivelazione, troviamo che il padre e la madre hanno un diritto ed un potere eguale, di guisa che questo potere, anziché paterno, dovrebbesi piuttosto chiamare dei genitori, o del padre e della madre». E più sotto: «i figli devono eguale onore ad ambedue i genitori, questo onore è così inseparabilmente dovuto ad ambedue, che l'autorità del padre non potrebbe spogliar la madre della parte che gliene spetta». Non è questa la dottrina che troviamo nel Codice Napoleone, il quale (art. 371-373) attribuisce la patria podestà ad ambedue i genitori, e nel Codice civile italiano, il quale non solo ripete (art. 220) la stessa massima, ma, interpretandola ancor più fedelmente del Codice francese, attribuisce altresì (ib.) la pienezza della patria podestà alla madre vedova?

  1. Treatise on civil governement, ch. V.