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DELLE DONNE 53

rotta del tutto l'antichissima tradizione della uguale dignità dei due sessi, morale almeno e naturale, se non giuridica e sociale.

Il diritto canonico a cui pure si devono importantissime correzioni del diritto romano imperiale secondo lo spirito del Cristianesimo, fu nell'argomento dei diritti delle donne un peggioramento di quel diritto, secondo lo spirito e il costume dei tempi. Esso accrebbe ancor più quella giuridica inferiorità del sesso femminile, che in ogni tempo le leggi romane aveano riconosciuta. E per esempio non soltanto il diritto canonico divieta alle donne l'obbligarsi per altri, ma eziandio l'accettare arbitramenti, l'intentare un'accusa, e persino il testimoniare in giudizio1. E di così fatto trattamento la ragione sta in quel dettato: mulier non est facta ad imaginem Dei; hinc apparet quemadmodum subditas foeminas viris et pene famulas lex esse voluerit2.

Cristianamente era questa una bestemmia; tanto era mal compreso, per non dire dimenticato, in argomento di così grande importanza morale il vero spirito del Cristianesimo! Dottrina siffatta non ha affinità che col talmudismo, altra apparizione medioevale, estranea affatto alla vita civile dei popoli europei. Leggesi infatti nel Talmud: «perchè la donna fu creata con un pezzo di carne, levata dal fianco di Adamo, e non da un'altra parte? Dal capo? sarebbe diventata troppo superba. Dall'occhio? troppo vagheggiatrice. Dall'orecchio? troppo curiosa. Dalla bocca? troppo chiaccherona. Dalle mani? troppo brancicona. Dai piedi? troppo scorrazzatrice. Fu creata invece da una parte segreta e modesta dell'uomo, e di mano in mano che le si creava qualche membro, una voce gridava:

  1. C. 17, caus. XXIII, qu. 6, de frigid., IV, 15; c. 3, XXXIII, qu. 1; c. 1-3; caus. IC, qu. 3; c. 4-10, de arbitr., 1, 43.
  2. C. 13-19, caus. XXXIII, qu. 5.