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DELLE DONNE 43

pure ammettendo che le stesse virtù assumessero nelle une e negli altri certi speciali caratteri corrispondenti alla diversità della natura. E approvare la sua tesi adduce parecchi esempi di donne illustri per molte specie di valore. Vuolsi notare che in Plutarco l'alto concetto della femminile natura è collegato ad un altro non meno elevato circa lo stesso principale ufficio delle donne, di cooperare alla umana felicità e alla propagazione della specie, suscitando negli uomini l'amore e il desio di possederle. L’autore del Ragionamento d'amore1 in cui condanna l'amor sensuale, il filosofo che ebbe del matrimonio un così elevato concetto, doveva certamente ripugnare alle opinioni volgari intorno alla femminile inferiorità, cui prima sorgente non fu mai altra se non la sensualità prevalente nei costumi degli uomini. Ma in pari tempo è Plutarco ostile ad ogni confusione di uffici fra l'uomo e la donna, «Non bisogna, egli dice, né lodare gli uomini di essere somiglianti alle donne, né le donne di assomigliare agli uomini, quando per avventura le circostanze non ve le costringano»2.

Dalla filosofia greca passando alla romana, la missione naturale e i diritti delle donne cessano di essere oggetto di studio, non che occasione di ardite speculazioni. I pochi filosofi romani, inferiori ai greci in originalità, restrinsero le loro considerazioni ai problemi etici, e della metafisica per lo più non ragionarono che in servigio della morale. Era questa una naturale tendenza del genio pratico dei Romani, i quali appena sentivano il bisogno di risalire alle ragioni scientifiche delle istituzioni loro, profondamente radicate nel pubblico consenso e nel costume, e, come direbbero i moderni, erano il più delle volte inconsapevoli dei principii supremi a cui metteva capo l'ammirabile loro prudenza nel governo della società e dello Stato.

  1. Plutarco, ib., vol. 4.
  2. Passo citato da Rainneville, La Femme dans l'antiquitè, Parigi 1865, p. 101.