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116 | DELLA CONDIZIONE GIURIDICA |
siste principalmente nel contrapporre coi più vivi colori allo sconsolante spettacolo della società contemporanea, un quadro ideale di virtù e di felicità privata e pubblica, alla cui effettuazione richiederebbonsi soltanto intelletti e volontà più agguerrite contro le seduzioni e i traviamenti del senso e dello egoismo.
Così fatto modo di pensare mi sembra per verità più incompleto che sbagliato. Io sono d'avviso che la perfezione maggiore o minore del giuridico ordinamento della società, determinando il grado di potere e di autorità delle persone, la misura della dignità che gli altri loro attribuiscono, e che esse medesime sentono dentro di sé, sia tutt'altro che indifferente per la moralità degli uomini e degli Stati. In altri termini, io credo che le leggi abbiano alla loro volta un reale ed efficace impero, benché per la maggior parte indiretto, sui costumi. Per questo motivo appunto reputai importantissimo subbietto di studio la condizione giuridica delle donne, e sin dal principio di quest'opera1 dissi non potersi reputar questa una questione interessante soltanto i giureconsulti e i legislatori. In un tempo come il nostro, nel quale pur troppo dei diritti si discorre e si fa più caso assai che dei doveri, sia per riguardo alla donna, sia per riguardo alla società tutt'intiera, ella è cosa singolarmente inopportuna e imprudente l'opporre a quella incompleta dottrina, un'altra pure incompleta, il rispondere ad una esagerazione con un'esagerazione opposta. Ma chi alla riforma del diritto in generale, e della condizione giuridica delle donne in particolare, senza negarle efficacia ed importanza non piccola rispetto al miglioramento dei costumi, attribuisce però una importanza secondaria in paragone di quella che spetta all'apostolato etico, alla vera e propria e diretta educazione morale, e pone in guardia l’opinione pubblica contro