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società, e molto meno le giuridiche esigenze dalle morali. Così, per esempio, mentre essa combatte non solo le istituzioni, ma anche le tendenze della pubblica opinione e i costumi, ispirati dalla pretesa inferiorità femminile1, dichiara altresì che «se le donne non mirassero piuttosto a divenire sindachesse o giurate, che ad agire in una più modesta sfera, nella quale possono essere molto più utili alla società, meno facilmente verrebbero messe in disparte le più legittime loro pretese, attribuendole a quella vanità, da cui vuolsi credere predominato il sesso femminile»2. Ella si palesa partigiana del divorzio, ma non per effetto di leggiere premesse intorno al matrimonio ed alla libertà individuale, bensì nell'interesse della moralità coniugale e degli alti fini del matrimonio. Si può anzi dire che una intiera e sapiente dottrina intorno alla missione sociale della donna sia racchiusa in quelle sue parole: «che il matrimonio è una istituzione favorevole in sommo grado alla donna, e che si commette una gravissima imprudenza attaccando una istituzione che ha per sé il suffragio dei filosofi e dei fisiologi, senza aver nulla di meglio da sostituirvi»3.

Congeneri a quelle della Dora d'Istria e ispirate in sostanza dallo stesso proposito di porre per base alle dottrine intorno alla condizione femminile una estesa ed accurata cognizione dei fatti, storici, sono le pregevolissime opere di Laboulaye e di Gide. Pubblicò il primo col titolo di Ricerche intorno alla condizione civile e politica delle donne4, un libro dottissimo intorno alla condizione, specialmente patrimoniale, dei coniugi nell'età moderna, diffondendosi particolarmente nello studio delle legislazioni barbariche e medioe-

  1. V., per es., Des femmes par une femme, vol. I, p. 116, 117.
  2. Ib., p. 124.
  3. Ib., p. 123, 124.
  4. Recherches sur la condition civile et politique des femmes, Paris 1843.