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Ciò nasce da una servil pratica delle antiche consuetudini.

I primi atti del parlamento sono d’un epoca in cui l’interpunzione non era in uso, le cifre arabe sconosciute. Ma gli statuti nella semplicità e nell’imperfezione loro originaria erano sì brevi e sì pochi che la mancanza di divisione non aveva sensibili inconvenienti.

Le cose si son là arrestate per negligenza, per abitudine o per un opposizione segreta e venale contro ogni riforma. Siamo vissuti dei secoli ignorando i punti, le virgole e le cifre. Perchè ora adottarli? L’argomento invero non ammette replica.

Rispetto alle perfezioni del second’ordine posson ridursi a tre, forza, armonia, nobiltà. La forza e l’armonia dipendono in parte dalle qualità meccaniche delle voci adottate, in parte dall’ordine delle parole. La nobiltà dipende principalmente dalle idee accessorie di cui si fa uso.

Le leggi sono suscettibili d’un’eloquenza lor propria, e che pure è utile, quando non valesse che a conciliar loro il favor popolare. A tal oggetto il legislatore può spargere alcune sentenze morali, purchè facciano all’uopo e producano una viva impressione con la lor brevità.

Convien pure sommamente che le leggi portino l’impronta della tenerezza paterna, e che vi si scorgano marche sensibili della benevolenza che le ha dettate. Perchè il legislatore arrossirà d’esser padre? Perchè non mostrerà che la sua severità stessa è benefica? Queste bellezze di cui solo il poter supremo può far uso, si trovano nelle istruzioni di Caterina II., e nei preamboli di alcuni editti di