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con rescritto de’ 20 maggio 1838); trasportati nel 1837 i volumi da Roma a Prato; fatte con il Capitolo le debite parti; si cominciò a pensare al modo di collocare questa Biblioteca. Venne subito in mente (ed era ben naturale) la inutilità di una seconda Libreria, mentre abbiamo la Roncioniana, che sta aperta ogni giorno tre ore: fu pensato che la tenue dote non avrebbe potuto dar modo d’accrescerla: non passò nemmeno inosservato, che la disposizione relativa al Bibliotecario, se prestavasi ad economizzare nella spesa del mantenimento e vantaggiava un individuo, non del pari poteva conferire sempre al maggior decoro dell’istituto e incontrare la sodisfazione del pubblico: mentre il giudizio della idoneità, o non si farebbe per amore del quieto vivere, ed ecco il danno della città; o si farebbe, ed ecco un’odiosa contestazione forse vuota d’effetto. Ove poi le due Biblioteche si riunissero, da ogni lato si presentavano vantaggi. Avere una Biblioteca di circa 20 mila volumi era invero più decoroso, che vantarne due di 12 e di 7 migliaia: gli studiosi si chiamerebbero più contenti d’avere in uno stesso luogo riunita questa suppellettile letteraria: i libri dell’una completerebbero l’altra in quelle parti della scienza che patissero più difetto: i duplicati si cambierebbero con altri libri: un solo Bibliotecario, più decentemente retribuito, lo vigilerebbe ambedue; e con gli assegni riuniti si provvederebbe meglio agl’incrementi. Nè questo provvedimento faceva contro alla volontà del Testatore; poiché s’egli non aveva contemplato il caso d’una riunione, non l’aveva neppure espressamente vietato; esprimendo solo il desiderio che la Biblioteca, oggetto per lui di tante cure e dispendi, non rimanesse di-