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atto quinto 87

a Sennia e per mancia ritornerò all’ufficio della cucina. — O Sennia padrona, o padrona!

Sennia. Chi mi chiama?

Mastica. Chi desia vedervi contenta.

Sennia. Faccilo Iddio, ché n’ho bisogno.

Mastica. Sète voi tanto infelice?

Sennia. Che buona nuova mi rapporti?

Mastica. La dirò se posso far tanta triegua con la fame che mi lasci dire.

Sennia. Dillami su.

Mastica. Ma avertete che bisogna star un anno in banchetto per ristorarmi della paura presa per avermi cacciato di casa senza cagione e senza mangiare.

Sennia. Eh! dilla su.

Mastica. Olimpia è maritata...

Sennia. È maritata la mia figliuola?

Mastica. ...con un gentiluomo...

Sennia. Chi gentiluomo?

Mastica. ...che s’era finto vostro figliuolo.

Sennia. La mia figliuola è maritata?

Mastica. Né tanto v’imaginavate aver perduto onore quanto n’avete al doppio racquistato.

Sennia. Ed è questa la veritá?

Mastica. Qual vi ho detto.

Sennia. La mia figliuola è maritata?

Mastica. Quante volte volete sentirlo? Ed è venuto suo padre di Roma e si è incontrato col vostro vero marito venuto di Turchia, e son stati d’accordo insieme.

Sennia. Io son cosí afflitta che non posso credere a sí lieta novella.

Mastica. Statene sicurissima.

Sennia. Non mi far rallegrare invano, ché poi con doppio afifanno mi faresti dolere.

Mastica. Sapete, padrona, che per una grandissima nuova si fa sempre grazia a’ prigioni e agli appiccati. Però per questa allegrezza faccisi grazia a quei presciutti che sono stati tanto tempo