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atto quinto 85

figlia, non potendo il fatto altamente rimediarsi; ché forse vi rimetteranno la querela.

Filastorgo. Che genti son queste? son forse pari miei?

Protodidascalo. Son de’ primati e degli optimati di questa cittá: anzi vi fia difficillimo ottenerlo. Ma eccoli: questi sono.

Filastorgo. Questi mascalzoni son forse pari miei?

Protodidascalo. Non v’ho detto che iam dudum erano venuti di Turchia e Lampridio gli avea espulsi di casa e non han potuto cambiarsi le vesti?

SCENA VI.

Teodosio, Eugenio, Filastorgo, Protodidascalo.

Teodosio. Giá l’han preso prigione e non gli è giovato il far credere al capitano ch’io fossi matto.

Eugenio. Ecco, patirá la pena del suo fallire.

Filastorgo. Ecco colui ch’è per rifarvi ogni danno.

Teodosio. Chi sei tu per rifar cosí gran danno?

Filastorgo. Padre di colui che avete prigione.

Teodosio. Sète certo padre d’un giovane di buona speranza!

Filastorgo. Voi sapete che i peccati per amore non meritano tanta riprensione, e massime quelli che commettono i giovani ne’ primi amori. Però correggasi l’errore il meglio che si può. Dalle infirmitá nascono i rimedi, da’ malefici le leggi e da’ disordini i migliori ordini.

Teodosio. Come si correggerá tanta pazzia e temeritá d’un giovane?

Filastorgo. Col senno e con la prudenza di vecchi.

Protodidascalo. Optime quidem, congrua risposta.

Teodosio. Indegno d’un uom da bene.

Filastorgo. Convenevole ad un amante.

Teodosio. Ará tolto l’onor alla vergine.

Filastorgo. Se le restituirá.

Teodosio. Come se le potrá restituire?