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atto quinto | 77 |
mio! — che il fratello con un bacio non le togliesse di bocca le labbra, la lingua e la parola insieme. Poi dissero che si volevano far fratelli e sorelle carnali.
Sennia. E come facevano?
Lalio. Che so io? Si serrorno a chiave entro la camera.
Sennia. Quando apersero poi, che facevano?
Lalio. Nulla: l’avevano fatto giá.
Sennia. Menti per la gola! se la porta stava serrata a chiave, come vedevi che si facessero?
Lalio. Dava qualche occhiatina per le fissure e per lo buco della chiave. Quando apersero, stava Olimpia avampata di foco in faccia e s’accomodava i capelli; e mi domandò di voi e, io dicendole che non l’avea vista se non io, giurò che, se diceva alcuna cosa di questo fatto, m’ucciderebbe: e però non ho voluto dir niente, avertete.
Sennia. Taci, vattene su e non cicalar a persona del mondo ve’, se non che ti trarrò la lingua insin dalla gola, sai.
SCENA II.
Squadra, Sennia.
Squadra. A tempo vi veggio, Sennia.
Sennia. M’indovino la nuova.
Squadra. Voi dovete saper che voglia.
Sennia. Che si mariti mia figlia questa sera col capitano.
Squadra. Tutto il contrario: a rinunziarla e sciorsi dalla promessa.
Sennia. Come questo?
Squadra. Me ne dimandate ancora? non si sa per tutto Napoli che un romano sotto nome d’esser vostro figlio s’ha goduta vostra figlia?
Sennia. Come sai questo tu?
Squadra. L’ho visto or ora menar prigione da’ birri; e di questa trama Mastica ne è stato il mezzano.
Sennia. Ah traditore!