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atto quarto | 61 |
SCENA VI.
Sennia, Teodosio, Eugenio, Lampridio.
Sennia. Ove è questo mio marito nuovamente resuscitato?
Lampridio. Eccovi, madre, il bello sposo.
Teodosio. O Sennia moglie cara, giá giá vi riconosco alle fattezze se di te non mente il vivo ritratto che n’ho sempre portato nel core; giá ti conosco alla sola vista.
Sennia. Questo altro giovane chi è?
Teodosio. Eugenio vostro e mio figliuolo, che insieme con me fu rapito da’ turchi.
Lampridio. (Quanti Eugeni facesti, o madre?).
Sennia. (Ah ah, figlio, questi è un altro te. Mi dolea di aver perduto un figlio e in un medemo tempo n’ho racquistati duo).
Lampridio. (Guardate che viso di ribaldo, che faccia di cuoio! come sta saldo!).
Teodosio. Ah Sennia, come non mi raffiguri tu ancora? o forse lo strano abito in che mi vedi o i disaggi sufferti m’hanno talmente mutato il sembiante che non mi riconosci? Poiché sei mia moglie, deh lascia che t’abbracci!
Eugenio. O madre, ho pur visto chi m’ha generato.
Teodosio. Voi vi discostate da me, voi mi schivate, dubitate forse che non mentisca? Non è vivo alcun di nostri parenti? ove è Beatrice mia sorella, ove è Eunèmone mio fratello? forse mi riconosceranno meglio di voi. ...
Lampridio. (Non vedete le lacrime che gli cadono dagli occhi? mirate che affezion di piangente, che piangere naturale!).
Sennia. (Naturalissimo).
Teodosio. ... Ti sei a torto, Sennia, dimenticata di tanto nostro scambievole amore, ché in quel breve tempo che stemmo insieme non ebbe il mondo duo sposi che s’amassero piú di noi. ...
Sennia. (Eugenio, figlio, al mover della bocca e al ragionare fa certi motivi che, se ben mi ricordo, eran propri di mio marito).