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atto terzo | 53 |
dalla faccia, con un pugno poi ti farò spuntar i denti fuor della bocca; haimi tu inteso o vuoi che te lo dica piú chiaro?
Mastica. Io v’ho inteso benissimo. Ma un capo meno o piú non importa: lo lascierò in casa quando esco fuori per amor vostro. Ah ah, io so che volete scherzar meco.
Trasilogo. Pezzo d’asino!
Mastica. Voi mi lodate, ché sempre mi ho conosciuto asino intiero.
Trasilogo. Tanto è.
Mastica. Non è tanto, no: misurate bene che senza cagione volete rompere l’amicizia meco.
Trasilogo. Dio voglia che non ti rompa la schena insieme con acqua di legno come infranciosato.
Mastica. Io ti voglio esser servo o che ti piaccia o no: se ben m’uccideste, per l’affezion che vi porto non potrei stare di non venire a casa vostra e mangiarmi in tavola vostra un pasticcio caldo caldo.
Trasilogo. Un malanno arai tu caldo caldo!
Squadra. A te dice, Mastica.
Mastica. A tutti dui rispondo io, che ve lo cedo.
Trasilogo. Fa’ che non venghi piú a mangiar con me.
Mastica. Perché?
Trasilogo. Perché sei come la mosca: mangi con noi e poi ne cavi gli occhi.
Mastica. Non posso piú soffrire. Venghi il canchero a tanta superbia! Che mi puoi far tu giamai? Stimi da senno ch’io creda queste tue bravarie, o dubito che non mi mandi quei popoli arcinfanfari o uomini maritimi ad uccidermi? Assai fo stima di queste tue minacce!
Trasilogo. La farai dell’opre, e ben tosto te ne pagherò.
Mastica. Ho tempo, ché non sète cosí presto pagatore a chi dovete.
Trasilogo. Fa’ che la tavola mia ti paia foco.
Mastica. Pensi da vero che non possa vivere se non mangio in casa tua? Tu bevi ad un bicchiero cosí picciolo che bevendo par che pigli il siroppo. Due fette di prisciutto; due di formaggio