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48 | l’olimpia |
bevevi se non da quella parte dove ella poneva le sue labra, né ti nettavi la bocca se non col salvietto con che si aveva nettato la sua; poi facevi un menar di piedi sotto la tavola che l’hai fatto scappar la pianella dieci volte; e usavi certe zifoli che li intendevano i cani che rodevano l’osso sotto la tavola. Tu devi avertire che Sennia è vecchia prattica delle cose del mondo, e queste cose le devono esser passate piú volte per le mani: so che non passerá una settimana che se n’accorgeranno le fanti, la famiglia e tutta la casa.
Lampridio. Che sará dunque bisogno di fare?
Mastica. O che ella fusse cieca per non veder ciò che fai, o tu stropiato e mutolo per non toccarla e parlar tanto.
Lampridio. Come non si può volere quel che si vuole? pure se non si può come si vuole, faccisi come si può.
Mastica. Queste parole mi dánno ad intendere che il tuo amore será per scoprirsi tosto; però prima che ciò avenga será bene avisar Sennia che proveda a’ fatti suoi.
Lampridio. Eh Mastica, tu sei troppo crudele.
Mastica. A te è una pietá esser crudele. Togliti il tuo Lampridio, tornaci il nostro Eugenio e vattene a studiare a Salerno come prima.
Lampridio. Orsú, il mio caro Mastica, eccoti questi danari per comprar robbe per la cena, e t’impegno la mia fede esser storpiato e mutolo come dici e star proprio in casa come un santo.
Mastica. Cosí, me ne dái la fede...
Lampridio. Eccola.
Mastica. ... di non star in casa tutto il giorno? ...
Lampridio. Come vuoi.
Mastica. ... di non parlarle dentro l’orecchie? ...
Lampridio. Sí.
Mastica. ... di non mirarla dalla strada? ...
Lampridio. Bene.
Mastica. ... né mostrar atti onde stimar si possa che tu l’ami? E questo lo dico per tuo bene, accioché per troppo goder del bene nol perdi, over come mosca tanto ti tuffi nel latte che ti anneghi. Quanto piú dura a scoprirsi questo tuo