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42 l’olimpia


Olimpia. Andiamo, fratel mio.

Sennia. (Quante carezze ti fa, Olimpia, il tuo fratello).

Olimpia. (Oh come è amorevole! deve essere usato in quelle parti della Turchia dove i fratelli e sorelle devono conversare con questa domestichezza).

Sennia. Vo innanzi, Eugenio figliuol mio.

Lampridio. Ecco il vostro schiavo in catene che ave esseguito quanto dalla sua divina padrona gli è stato imposto, acciò conosca l’ardentissimo desiderio c’ho di servirla e mostri il simolacro del cor suo qual stia avinto intorno di catene.

Olimpia. D’oggi innanzi cominciarò ad avervi in piú stima e gloriarmi di questa mia bellezza, poiché è piaciuta a persona tale che è posta in tanto pericolo per amor mio.

Lampridio. La contentezza che ho di mirarvi a mio modo e di servirvi, sería stato ben poco se l’avessi comprata con pericoli di mille vite.

Olimpia. In me non conosco tal merito, ma ringrazio di ciò il cortese animo vostro.

Lampridio. Ringraziatene pur colui che vi creò di tal pregio che sforza ognun che vi vede a servirvi e onorarvi.

Olimpia. Desidero non essere intesa da’ vicini o da quei di casa, e sopra tutto bramo vedervi sciolto da queste catene che temo non v’offendano, ché a questo collo delicato e a questi fianchi ci convengono le braccia di chi vi ama a par dell’anima e della sua vita.

Lampridio. L’offesa me la fate ben voi, anima mia, con dir che queste m’offendano: che mentre mi stringono appo voi mi fanno piú libero dell’istessa libertade; e che sia vero, ecco che da me stesso son venuto a farmevi prigione. Ma quelle che mi stringono nell’amor vostro, sempre ch’io pensassi disciorle m’allacciarebbono in duri ceppi e in amarissima prigione.

Olimpia. Ho tanta speranza ne’ meriti dell’amor mio che con mille catene piú dure di queste ci legheremo con nodi d’inseparabil compagnia, né basterá alcun accidente schiodarle se non la morte.