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atto terzo 39


Lampridio. Non me lo dir piú, ché lo so cosí bene che ricordandomelo piú, me lo faresti smenticare.

Mastica. Tu sei tutto mutato di colore.

Lampridio. Questa insperata speranza d’allegrezza m’ha tolto fuor di me stesso. Non so che m’abbi: cuor mio, sta’ fermo; tu par che non mi capi nel petto, tu dibatti cosí forte come se ne volessi saltar fuori.

Mastica. Con questo colore tu saresti piuttosto per sconsolarle che rallegrarle con la tua venuta.

Lampridio. Farò migliore viso se posso. Va’ tu presto e recami da vestire.

Mastica. Lo farò. Io entro prima, darò la buona nuova e le farò uscir fuora a riceverti. — O di casa, allegrezza allegrezza, mancia, buona nuova!

SCENA II.

Lampridio, Protodidascalo.

Lampridio. Protodidascalo, tu stai di mala voglia.

Protodidascalo. Taedet me et misereor del caso dove sei per incidere.

lampridio. Se tu avesti pietá di me, me lo mostraresti in altro.

Protodidascalo. Che magior granditudine di cosa si può autumare, che per un tantulo di oblectamento ti poni in pericolo che discoprendosi è per apportarti il maggior dedecore che mai s’ascolti?

Lampridio. Non si può scoprire se non lo scopriamo noi stessi, ché non ci è altro al mondo che lo sappi.

Protodidascalo. Lo sa Mastica, or l’ará detto a cento: non passare una ebdomada che lo saprá tutto Napoli. Ascolta Virgilio:

Fama, malum quo non aliud velocius ullum,
mobilitate viget viresque acquirit eundo.