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ATTO III.

SCENA I.

Mastica, Lampridio, Protodidascalo.

Mastica. Camina sicuramente, ché non è uomo che vedendoti con questo ferro al collo, col turbante in testa e con queste vesti, non ti giudichi or ora scampato di man di turchi, ritratto dal naturale.

Lampridio. Amor, favoriscimi a questo inganno, ché non si può far cosa buona senza l’aiuto tuo.

Mastica. Hai la catena ne’ piedi?

Lampridio. Vorrei che ti potessero rispondere le mie gambe che appena la ponno trassinare.

Mastica. Io vado: or vedrai la tua Olimpia desiderata.

Lampridio. O braccia mie aventurose, dunque voi cingerete il collo della terrena mia dea? o bocca mia, tu bascierai le guancie delicate e gli occhi del mio sole? O Amore, se ti piace ch’io ottenga cosí desiderata felicitá, donami tanta forza che la possa soffrire: ché dubito che vedendomi Olimpia in queste braccia, non mi muoia di contentezza.

Mastica. Lampridio, tieni le parole a mente. Subito che serai intrato in casa, comanda che si tiri il collo a quante galline ci sono e che mi siano dati dinari per comprar robbe.

Lampridio. Eccoti dinari, spendi ciò che tu vuoi, non me ne render conto.

Protodidascalo. È stato supervacuo admonircelo, egli lo fa indesinenter; non è oggi il primo giorno che cognovisti eum.

Mastica. Ricordati dimandar quello che ti ho detto, per mostrar che sei figlio a Teodosio.