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36 l’olimpia


Lampridio. Mira che passeggiar altiero, mira che bravura!

Squadra. Lasciatelo andar, padrone, ché alla ciera mi par di buono stomaco.

Trasilogo. ... Io gli darò a ber un poco d’acqua di legno, che gli lo sconcierá di sorte che per parecchi giorni non gli verrá voglia di mangiare. Ma será meglio che gli parli prima. — Dimmi un poco, conoscimi tu?

Lampridio. Io non ti conosco né mi curo di conoscerti. Ma tu conosci me?

Trasilogo. Non io.

Lampridio. Orsú, vo’ che mi conoschi, perché vogliam fare questione insieme.

Trasilogo. Poiché io non conosco te né tu me, non accade far questione altrimente.

Lampridio. Su, poni mano alla spada.

Trasilogo. Non la vo’ ponere se non dove piace a me: vuoimene forzar tu? sei tu padrone delle mie mani? sto io con te che mi comandi?

Lampridio. Sí, perché ci vogliamo romper la testa insieme.

Trasilogo. La testa mia io la vo’ sana; se la vuoi rotta tu, battila in quel muro.

Lampridio. Per parlarti piú chiaro, dico che ferendoci tra noi ci vogliamo cavare un poco di sangue.

Trasilogo. Sangue ah? ne ho poco e buono; se soverchia a te, vattene ad un barbiero che con poca spesa te ne caverá quanto vuoi.

Mastica. (Uomini che abondano assai di parole mancano assai di fatti).

Lampridio. Hai paura di me?

Trasilogo. Ho paura di me, non di te.

Lampridio. Pecora, asinaccio!

Squadra. Rispondetegli, padrone.

Trasilogo. Il malanno che Dio ti dia, non mi chiamo cosí io!

Lampridio. Tu fuggi, eh?

Trasilogo. Io camino presto.

Mastica. (In cambio di menar le mani mena i piedi).