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atto secondo 29

fammi una grazia, fratello: menami al Molo grande, ch’io voglio or ora buttarmi in mare.

Protodidascalo. Oh miserrimo chi segue questo giovenecida Amore! Germanule, andiamgli dietro, ché non incida in qualche discrimine della vita.

SCENA V.

Trasilogo, Squadra.

Trasilogo. Dunque un romano ará tanto ardimento da farmi un simile inganno?

Squadra. Chi v’ha rivelato questa cosa, padrone?

Trasilogo. Anasira, quella mia conoscente; e vogliono con questo inganno tormi Olimpia mia sposa. Son uscito per incontrario e ammazzarlo.

Squadra. Per dirlovi, padrone, a me parea impossibile che Olimpia v’amasse mai, perché alla vista conosceva che ne stava molto aliena.

Trasilogo. O Dio, che queste feminacce del diavolo fanno sí poco conto d’un cor tremendo e foribondo! Mirami un poco in viso: è faccia questa da sprezzarsi da Olimpia? Io mi ho inteso lodar di bellezza e ho fatto morir le migliaia delle donne d’amore a dí miei; e chi m’avea a dormir seco lo riputava a molto favore, per aver razza d’un par mio per uomini da guerra.

Squadra. Olimpia è come l’altre: s’attacca sempre al peggio.

Trasilogo. S’ella mi vedesse in mezzo un essercito di nemici, dove non si vede altro che spronar cavalli, abbassar lancie, sonar tamburri e trombe, scaricar archibuggi, bombarde e artegliarie, e io con questa mia Balisarda aprir elmi, forar corazze, romper teste, tagliar colli e infilar cuori; s’ella mi vedesse con una lancia in resta e prima che si pieghi buttar in terra almen sette persone, mi giudicarebbe un fulmine di guerra; ed ella e tutto il mondo impararebbe a far altro conto di me che non ne fanno.

Squadra. Or questo sí che desiderarebbe veder Olimpia prima che si pieghi: di buttar sette persone in terra.